La Carne prodotta in laboratorio è più sostenibile di quella da allevamento? Uno studio mette a confronto gli effetti sul clima dei due sistemi di produzione

La Carne prodotta in laboratorio è più sostenibile di quella da allevamento? Uno studio mette a confronto gli effetti sul clima dei due sistemi di produzione

Negli ultimi mesi la questione della carne prodotta in laboratorio sta animando in Italia il dibattito politico e sociale, questo perché sembra sempre più concreta la possibilità che nel breve periodo possa finire sulle nostre tavole. Quest’anno potrebbero infatti arrivare le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio in Europa del nuovo alimento dopo il via libera, lo scorso anno negli Stati Uniti da parte della Food and Drug Administration alla prima carne di pollo in provetta.

A ben vedere nei confronti della carne coltivata vi è già una certa resistenza da parte dei consumatori: secondo una recente indagine condotta da Coldiretti/Ixe,  7 italiani su 10 non si fidano del cibo creato in laboratorio con cellule staminali in provetta. 

Recentemente a mettere in dubbio anche i presunti benefici ambientali della carne coltivata è arrivato un nuovo studio dell’Università di Oxford, secondo il quale la sua produzione non sarebbe più sostenibile di quella da allevamento.

Ma come viene prodotto questo novel food? Quali sarebbero i supposti vantaggi che deriverebbero dalla sua commercializzazione?

Carne coltivata: quello che c’è da sapere

Come riportato nell’articolo “Carne coltivata, il futuro dell’alimentazione?”, pubblicato sul portale Carni Sostenibili, la carne coltivata viene prodotta partendo da cellule staminali prelevate tramite biopsia tissutale o post mortem dell’animale, oppure da cellule staminali embrionali o pluripotenti indotte. Le cellule così prelevate vengono coltivate in un bioreattore in cui proliferano grazie ad un mezzo di coltura ricco di nutrienti, ormoni e fattori di crescita. Per i sostenitori di questo novel food, tra gli aspetti positivi riconducibili all’alimento vi sarebbero quelli di essere un prodotto più sicuro – perché prodotto in un ambiente controllato – e più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto alla carne proveniente dagli allevamenti.

A ben vedere però, come riportato nell’articolo citato, già sul fronte della salute umana sorgono dubbi circa la salubrità della carne in provetta, visto che per la sua produzione vengono addizionati al mezzo di coltura sia antibiotici che composti chimici – per impedire contaminazioni, sia ormoni per assicurare la crescita delle cellule. Si tratta di sostanze per le quali non vi è garanzia di sicurezza per il consumo alimentare. Diversamente, in Europa, l’impiego di ormoni per la crescita è vietato nel settore della zootecnica e si lavora per ridurre ulteriormente l’impiego di antibiotici. Ad esempio in Italia, come riportato nel rapporto dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) sul consumo di antimicrobici veterinari nell’Ue, dal 2011 al 2020 si è registrata una riduzione del loro impiego del 51%, frutto di tanti anni di lavoro in tal senso nel comparto zootecnico.

Carne in provetta è veramente amica dell’ambiente?

Sempre più dubbi sorgono anche per la tanto acclamata maggiore sostenibilità ambientale della carne coltivata rispetto alla carne “tradizionale”. Come già emerso da alcuni studi citati nel Meat Atlas 2021 “Fatti e cifre sugli animali che mangiamo”, nel capitolo “Lab meat cellstock vs livestock”, prendendo in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto, la domanda di energia della carne coltivata è di gran lunga superiore a quella per la produzione della carne tradizionale. Ora una nuova ricerca, come già anticipato, ha messo a confronto i due sistemi produttivi in relazione ai loro effetti sul riscaldamento globale.

Effetti sul clima: è più sostenibile la carne coltivata o la carne da allevamento?

Lo studio condotto da due ricercatori dell’Università Oxford e pubblicato su Frontiers in Sustainable Food Systems ha valutato l’impatto sul riscaldamento globale della carne coltivata e di quella di allevamento, valutando i comportamenti, da qui a 1000 anni, di anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O). Per il confronto sono state prese in esame quattro impronte di carbonio della carne coltivata, disponibili nella letteratura di settore, e tre sistemi di produzione di carne bovina (fattoria svedese, pascolo brasiliano, pascolo Midwest Stati Uniti).

Secondo lo studio, prendendo in considerazione un consumo globale elevato e continuo di carne, quella coltivata genererebbe nel breve periodo un riscaldamento inferiore rispetto a quella di allevamento. Le cose andrebbero invece diversamente nel lungo periodo: il divario nel contributo al riscaldamento globale si ridurrebbe e in alcuni casi l’allevamento provocherebbe un riscaldamento decisamente inferiore rispetto alla produzione in laboratorio. 

Da cosa dipende questa inversione di rotta?

Se si vanno ad analizzare nello specifico le emissioni generate dai due sistemi produttivi, si evince come quelle legate all’allevamento siano principalmente di metano e in via secondaria di anidride carbonica e protossido di azoto; per la carne coltivata, al contrario, le emissioni sono quasi interamente rappresentate da CO2, e dipendono in via principale dal massiccio consumo di energia necessaria alla sua produzione. Prendendo in considerazione il diverso comportamento dei due gas serra si sottolinea come: mentre le emissioni di metano restano in atmosfera per un circoscritto lasso temporale (circa dieci anni), quelle di CO2 vi permangono per circa mille anni. Di conseguenza, sempre secondo lo studio, passando da un livello di consumo elevato a uno più sostenibile, i sistemi di allevamento comporterebbero inizialmente un picco maggiore di riscaldamento, il cui effetto però con il tempo diminuirebbe e si andrebbe a stabilizzare: un risultato dovuto al fatto che le emissioni di metano non si accumulano in atmosfera. Al contrario, gli effetti sul clima della carne coltivata, dovuti principalmente alla CO2, persisterebbero nel tempo perché questo gas serra continuerebbe ad accumularsi anche in presenza di una riduzione di consumo dell’alimento.

Gli studiosi hanno quindi concluso che la carne coltivata non è a priori climaticamente superiore al bestiame: “Il suo impatto dipende invece dalla disponibilità di generazione di energia decarbonizzata e dagli specifici sistemi di produzione che vengono realizzati”. Inoltre, aggiungiamo che, pur ipotizzando una produzione di energia legata principalmente alle fonti rinnovabili in grado di ridurre le emissioni di CO2 legate alla carne in laboratorio, resterebbero comunque le questioni irrisolte riguardanti la sicurezza e quindi la salute umana, per le quali la ricerca non ha ancora dato chiare indicazioni. Quindi, è opportuno interrogarsi se siamo certi di voler includere questo tipo di alimento nella nostra dieta.

Redazione Green

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